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PREMESSA
Questo dossier fa seguito ad altri 7 rapporti che Confesercenti – da sempre attenta all’impiego del denaro pubblico – ha curato negli anni scorsi, dedicati alla tematica del cattivo utilizzo delle risorse pubbliche. I nostri rapporti sui “100 casi di spreco” hanno avuto un grande e giustificato successo. Lo slogan “basta con gli sprechi” sembra ormai scontato in tutti i dibattiti politici e il successo editoriale di alcune recenti pubblicazioni testimonia il grande interesse a questo tema da parte dell’opinione pubblica. Confesercenti puntualmente ripropone le sue analisi e denunce. Così è stato dal 1996, cioè da quando Confesercenti promosse la prima ricerca denominata “Cento casi di spreco nella spesa pubblica”, nella quale con semplicità e molta ironia si evidenziavano i perversi meccanismi di crescita esponenziale della spesa a carico dei contribuenti. Quella ricerca, assieme alle altre (relative sia alla spesa pubblica, che a quella sanitaria, che agli sprechi energetici), che nel 1999, 2002, 2005, 2006 e 2008 Confesercenti ha prodotto, ha indotto il legislatore a intervenire su alcuni casi per moralizzare l’uso del pubblico denaro. Si parla oggi di riforma fiscale. Affrontiamo l'argomento dal punto di vista generale. I cittadini constatano quotidianamente le inefficienze delle Pubbliche amministrazioni e, accorgendosi che il prelievo fiscale non si traduce in una maggiore qualità dei servizi ricevuti, finiscono con l’accumulare un astio ed un risentimento sempre crescenti. Il motivo è che il nostro sistema fiscale è molto lontano da quanto previsto dalla stessa costituzione. L’articolo 23 della Costituzione prevede che non possano essere imposte prestazioni patrimoniali se non in base alla legge e, in via interpretativa, ad atti aventi forza di legge. Ciò implica che il tributo è un’obbligazione nascente dalla legge e non può scaturire da arbitrio. Secondo l’articolo 53 della Costituzione ogni contribuente concorre alla spesa pubblica sulla base della propria capacità di “pagare”, il cui indicatore è dato dal reddito disponibile. Ma se guardiamo ai cento casi della nostra rassegna ci accorgiamo che quasi tutte le gabelle elencate, per comiche che possano sembrare, violano entrambi questi principi: da un lato esulano dalla certezza, dall'altro colpiscono casualmente i cittadini ed intralciano l'attività di impresa. Segnaliamo perciò che uno dei presupposti di ogni riforma è eliminare quel bestiario fiscale di cui ogni tanto si parla, ma che caratterizza negativamente il nostro paese rispetto all'Europa. Oggi però si parla anche di federalismo fiscale, senza pensare che il sistema fiscale italiano somiglia ancora ad un coacervo di balzelli di stampo feudale. Nello stesso tempo, il protagonismo di taluni sindaci ripropone assurdi balzelli, come tasse sui gradini, sull'uscita di casa o sulla bandiera, basandosi su imposte multiuso (sconosciute in altri paesi) come l'imposta di concessione, l'imposta di occupazione aree pubbliche, Tarsu e via discorrendo. E che dire delle tasse sulle insegne? Per molti anni si poteva sfuggire solo mettendo l'insegna alla rovescia o spegnendo l'insegna. A questo proposito segnaliamo il serio rischio che i provvedimenti sul federalismo fiscale diano la stura a “stangate” locali, sulla base di una norma (art. 7 dello schema del federalismo municipale) che disinvoltamente concede ai comuni, previo referendum locale, di realizzare nuove tasse o reintrodurne di più antiche (vedi il caso dell'imposta di soggiorno, sui cani o sulle insegne), in sostituzione delle vigenti. Siamo contrari al federalismo? No, ma in un'ottica di riforma, meglio sarebbe che i tributi e le compartecipazioni locali siano assegnati ai vari livelli di governo facendo ricorso al principio di correlazione tra prelievo e beneficio connesso alle funzioniesercitate , nel segno della responsabilizzazione finanziaria. Ciò permette infatti divisualizzare i tributi assegnati come se fossero “ricavi”, in analogia alle logiche di fondo aziendali. Ma l’inventiva fiscale non ha limiti, come dimostrano gli esempi passati. Una volta c’erano la tassa sui pianoforti e quella sulle banane. Oggi queste antiche imposte sono state abolite. Ma sotto mentite spoglie operano altri antiquati balzelli, che con un pò di spirito (ma sempre attenendoci ad un criterio oggettivo di basi imponibili reali) abbiamo ritrovato all'interno delle nuove imposte. Abbiamo quindi provato a suddividere la rassegna dei 100 casi in alcuni capitoli: dalle paleo-tasse alle imposte “esoteriche”, dalle tasse in maschera, a quelle contenute nelle bollette, ad altri prelievi surreali, come la tassa sull'esposizione della bandiera tricolore o le tasse macabre, che riguardano defunti e cimiteri, fino al balzello sui lumini. Abbiamo poi scoperto altre categorie d'imposta: le tasse sul movimento, quelle aeree (su gru e tralicci), quelle sotterranee (su tubi, fogne e botole), fino alle cosiddette “imposte spietate”, cioè tasse che magari all'insaputa del legislatore colpiscono chi è già in difficoltà (disoccupati, invalidi, studenti fuori sede, famiglie numerose, sfrattati). Ci sono poi le “imposte burocratiche”, cioè prelievi relativi a funzioni pubbliche già finanziate per altra via con la fiscalità generale, che tuttavia vengono imposti a chiunque voglia adire a tali servizi, dalla giustizia al catasto. Per arrivare infine a due capitoli cardine: il fisco “lunare”, cioè un sistema tributario burocratico ed auto-referente lontano dai cittadini e dalla stessa comprensibilità alla luce di una comune intelligenza e senso comune; ed il fisco che perseguita l'impresa, vista come un limone da spremere per ottenere nuovo gettito. Cosa dimostra l'esercizio? Che l'Italia delle cento tasse cui si riferiva un famoso saggio di una ventina d'anni fa, sotto l'apparente modernità degli attuali tributi, continua ad esistere. E che la distanza che ci separa dall'Europa è ancora considerevole. In quale altro paese europeo possiamo oggi trovare vecchi arnesi come l'imposta di bollo, quella sulle concessioni governative o la tassa sull'ombra? Non stiamo parlando di bruscolini. L'imposta di bollo dà un gettito di 6 miliardi di euro, analogo il gettito dell'imposta di registro, l'imposta sostitutiva 600 milioni di euro, le concessioni governative 1,3 miliardi, l'imposta sulle assicurazioni quasi 3 miliardi, l'IRAP preleva dall'economia 27 miliardi di euro, l'imposta di pubblicità 300 milioni, TARSU e TARI circa 4 miliardi, l'accisa sui carburanti (e sull'aria) 21,5 miliardi, la tassa sul televisore (ex canone di abbonamento) rende 1,7 miliardi, le varie componenti fiscali sulle bollette altri 2 miliardi, la trascrizione al PRA 1,3 miliardi. La sottolineatura di storture e della componente “sadica” dei legislatori, ci consente di evidenziare la necessità di correre ai ripari per riportare dentro gli argini questo fiume in piena, riducendo la pressione fiscale dal 43,5% attuale al 39,5% in 4 anni e semplificando il tutto attraverso una consistente riduzione degli adempimenti fonte di costi, di perdite di tempo e di ansie per gli imprenditori e per i cittadini. |